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Le regole del desiderio V

by Galeazzo_45


Le regole del desiderio

Capitolo V L’officina.

Rimasi ancora un po’ a letto, con una erezione spaventosa, ripensando a quanto successo poco prima durante la seduta di lotta con mio padre. Mentre mi accarezzavo lentamente la verga, cercando di prolungare la sensazione di piacere, pensavo a quanto eccitante fosse stato quel primo contatto con mio padre. Ora il mio arnese misurava 16 cm e le mie palle non superavano la misura di una noce; dal contatto con i suoi coglioni, come li aveva chiamati lui, avevo sentito due cose enormi, della grossezza di due limoni; inoltre mi era rimasto sulle dita un odore piacevole, di sudore, ma diverso da quello delle ascelle e delle altre parti del corpo. Per cui, ragionavo, mentre me lo menavo furiosamente, se le palle sono cosî grosse, circa cinque volte le mie, quanto lungo e grosso puô essere l’organo che vorrei tanto vedere e toccare? E come lo chiamerà o penserà comunemente? Se aveva chiamato coglioni i suoi grossi testicoli, usando il termine piû volgare e comune in circolazione, la cosa ovvia era che chiamasse il suo organo sessuale in modo analogo e cioê cazzo. Ora mio padre, come tutti gli uomini, usava spesso quel termine in frasi idiomatiche, o semplicemente come intercalare, ma non lo aveva mai sentito nominare l’organo maschile con quel termine; tutt’al piû lo chiamava uccello o arnese. E l’idea che quell’uomo magnifico e baffuto si lasciasse andare ad un linguaggio osceno durante l’atto sessuale mi mandava giû di testa: mi immaginavo spingere la grossa testa dell’organo nella gola di un fortunato dicendo: Dai succhiami bene il cazzo, fallo godere che dopo puoi bere tutta la sborra che mi riempie i coglioni! Ma soprattuttu immaginavo la scena che necessariamente si era volta 18 anni prima, quando con una serie di colpi feroci inferti dal basso verso l’alto (gli piaceva immaginare suo padre penetrare la madre dal di dietro, in una posizione che gli sembrava piû sensuale e bestiale), Alberto aveva eruttato un litro di sborra nell’utero di sua madre, facendole provare il terzo orgasmo consecutivo in un grido incontrollabile, infondendole cosî il principio della vita che si sarebbe concretizzata in me. Era quello il momento in cui non riuscivo piû a trattenermi e, contorcedomi dal piacere, cominciavo ad eiaculare in una estasi di piacere che avrei voluto non finisse mai. Ma quella mattina volli sperimentare un piacere nuovo: mentre ancora stordito ripensavo a quanto successo, e sentivo l’acqua della doccia scorrere, mi accorsi che mio padre aveva lasciato distrattamente gli indumenti ammucchiati fuori dalla porta del bagno. Col cuore in gola, mi avvicinai furtivo, temendo che Alberto mi scorgesse attraverso la porta di vetro smerigliato, e per prima cosa afferrai la T-shirt; era una maglietta da poco, con la scitta di un parco di divertimenti davanti, fatta di quel tessuto che diventa scuro quando si bagna e questa volta era veramente bagnata, sia perché eravamo all’inizio dell’estate e faceva già caldo, sia perché mio padre ci aveva sudato abbondantemente durante la lunga seduta di jogging. La T-shirt era calda e bagnata nello stesso tempo, calda perché aveva ancora il calore del suo corpo, bagnata perché fradicia di sudore. Dalle macchie di sudore e dalla loro disposizione, inoltre, uno poteva ricostruire tutti muscoli di quel corpo cosî virile e muscoloso, dagli ampli pettorali ai muscoli piatti dello stomaco. Le mie dita toccarono lentamente le varie macchie e provai un brivido sentendo il liquido che impregnava quell’indumento bagnare la loro punta. Lentamente portai l’indumento sul mio viso e fu allora che provai l’eccitazione maggiore della mia vita: inalai lentamente e la mia mente fu invasa dal suo odore, mentre il cazzo mi diventô subito duro come la roccia, incominciando a lacrimare il liquido preseminale. L’odore acre era cosî forte da farmi quasi svenire e sentii che le ginocchia mi tremavano. La mia erezione era fortissima e involontariamente mi ritrovai a spingere la pelvi avanti e indietro mentre la voglia incontenibile di sborrare si faceva sempre piû incontrollabile. Stavo per venire e l’eccitazione era tale che per poco non sentii mio padre che usciva dalla doccia fischettando, con un solo asciugamano bianco che gli cingeva i fianchi; sentii che mugugnava qualcosa a proposito della t-shirt e poi venne da me chiedendomi se l’avevo vista. Credo di aver balbettato qualcosa al fatto che era sporca e l’avevo messa da lavare (nel frattempo l’avevo nascosta in fretta sotto il letto). Fu allora che avvenne una cosa incredibile: proprio davanti ai miei occhi, mio padre si tolse l’asciugamano, e con la massima naturalezza, incominciô ad asciugrsi i capelli, il petto, le ascelle, lasciandomi tutto il tempo di ammirare la sua virilità in tutta la sua gloria. Davanti a me si mostrava in tutta la sua muscolosa avvenenza l’uomo dei miei sogni: potevo ammirare a due metri di distanza le sue spalle larghe, i suoi enormi pettorali villosi, coperti da una selva di peli lucenti, ancora bagnati, i suoi possenti bicipiti, i muscoli duri del suo stomaco piatto, ma soprattutto per la prima volta potevo vederne il grosso cazzo che usciva da una foresta di peli scuri, impressionante per le dimensioni anche se in stato di riposo, pigramente ricurvo su un paio di palle pelose che avrebbero fatto invidia ad un toro. Dovetti rimanere come inebetito per qualche secondo, perché mio padre disse, sorridendo, Beh, cosa ti prende, non hai mai visto un uomo nudo? Dai, vestiti e muoviti, oggi ti porto in officina, disse mio padre, cosî impari un po’ a lavorare con le mani. O preferisci rimanere a casa per usare le mani in altro modo? Disse quest’ultima frase con un tono ironico e divertito e l’evidente allusione ai miei piaceri solitari mi fece arrossire profondamente. Alberto se ne accorse, perché con un gesto affettuoso fece finta di tirarmi un cazzotto e per riparare alla gaffe disse: voglio vederti sviluppare bene i muscoli e diventare un uomo come si deve! Con il cuore che mi batteva all’impazzata mi preparai quindi ad uscire con lui, mentre fischettando mio padre faceva altrettanto in camera sua. Quando ne uscî il suo aspetto era semplicemente incredibile e tale da lasciarmi senza respiro. Aveva indossato una maglietta bianca pulita che gli fasciava le larghe spalle, i pettorali massicci dell’ampio torace e dal girocollo un ciuffo di peli neri usciva verso il collo taurinio, facendo immaginare la stupenda ed eccitante selva di pelo che gli ricopriva il petto. Gli stretti jeans fasciavano strettamente le grosse cosce muscolose, mentre l’impressionante, grosso pacco tendeva la stoffa tra le gambe. Un delicato profumo di acqua di Colonia e di dopobarba si diffondeva dal suo corpo, facendo aumentare il desiderio di stringermi a lui, di toccarlo, di essere lo schiavo al servizio del suo piacere. E’ chiaro che mi sarebbe piaciuto rimanere a casa a pensare al suo grosso organo e già l’idea me lo faceva di ventare di nuovo duro. Ma il fatto di fare un tragitto in macchina con lui, sentire il suo profumo e poter gettare un’occhiata al grosso pacco che ingrossava i jeans stinti, mi fece accogliere con entusiasmo la proposta. Inoltre in officina avrei potuto incontrare il mio amico Simone, il figlio del camionista:da alcune frasi avevo capito che era in adorazione di suo padre e avrei tanto voluto affrontare con lui l’argomento che mi occupava tutti i pensieri da qualche tempo. L’officina meccanica di Alberto era un basso edificio grigio alla periferia della cittadina, quasi in aperta campagna. Arrivati in officina, papà si sistemô in ufficio e mi indicô lo spogliatoio dove potevo cambiarmi, mettendomi una tuta pulita. Appena uscii, vidi che era arrivato Rocco con Simone: Simone venne a salutarmi e intanto guardavo i due uomini in piedi, al di là del vetro del piccolo ufficio che parlavano sottovoce ridacchiando e ammiccando a noi due ragazzi, come se affrontassero un argomento riservato, ma divertente ed eccitante allo stesso tempo. Mio padre, salutato Rocco, fece accomodare Simone davanti alla scrivania e incominciô a dargli istruzioni su quello che doveva fare quel mattino, ma Simone aveva un’aria trasognata e sembrava fissare tutto il tempo il classico calendario posto alle spalle di mio padre, che per il mese di giugno mostrava una splendida bruna che a gambe larghe mostrava il folto pelo della passera. Accostatomi alla porta, sentii mio padre che diceva: Bella gnocca, eh? Scommetto che ti piacerebbe leccargliela.. oppure, disse quasi sovrappensiero, preferisci un altro genere? E cosî dicendo tirô fuori un calendario di nudi maschili, con in prima pagina un favoloso stallone muscoloso e peloso che, seduto a cavalcioni sullo schienale di una sedia, si toccava un perizoma che non lasciava nulla all’immaginazione. Questo me l’ha dato il mio amico frocio, ma dentro ê talmente sconcio che non posso esporlo neanche quando vengono le signore! E cosî dicendo ne sfogliava alcune pagine, guardando di sottecchio la reazione di Simone, che confuso, non sapeva se guardare quelle pagine che ovviamente lo eccitavano molto o il pacco dell’uomo che gli stava comodamente seduto davanti mostrando tranquillamente la sua virilità e che già gli induceva le piû libidose fantasie. A questo punto Alberto si alzô e condusse Simone nello spogliatoio, per mostrargli la tuta di lavoro e per mettersela lui stesso: sarà che incominciavo a sentire una fitta di gelosia, ma mi sembrô che Alberto e Simone rimanessero dentro un’eternità e quando li vidi uscire mi sembrô che mio padre avesse un’aria soddisfatta e Simone ancora piû confusa. La mattina trascorse in modo penoso per me: mi era stata affidata la lucidatura di una portiera, mentre mio padre si era infilato con Simone sotto una macchina e gli stava insegnando a smontare una marmitta. Potevo vedere quindi i due corpi a contatto e immaginavo i continui toccamenti di Simone alle robuste braccia pelose di mio padre; inoltre i corpi uscivano dalla vita da sotto le macchina e mi sembrava che Simone non facesse che accostare la sua gamba destra a quella di Alberto, che con le gambe un po’ divaricate mostrava il grosso bozzo dei pantaloni della tuta ben in rilievo. Dai stringi quel bullone, diceva mio padre, cosî, che mani di merda che hai !Non sono buone neanche per le pippe! Vedrai che un mese in officina ti farà cambiare quelle dita da signorina! Porco D.., se te le farà cambiare! La mia gelosia stava montando in modo parosisstico: Simone, per il quale avevo sempre nutrito un sincero affetto, ora mi appariva come la piû zoccola delle troie e mi sentivo di odiarlo sempre di piû. La mattina per me trascorse in modo penoso, costretto alla pallosissima lucidatura di quella maledetta portiera, mentre ero costretto a vedere i continui tentativi di strusciamento di Simone nei confroonti di mio padre. Ma il peggio doveva ancora venire: verso mezzogiorno, mio padre mi chiese di andare a prendere dei pezzi di ricambio dall’altra parte della cittadina; arrivato sul posto vidi che il negozio era chiuso per inventario e cosî tornai prima del previsto. Trovai la serranda abbassata, tanto ê vero che dovetti entrare da una porticina laterale. Dentro regnava un silenzio irreale. Cercai di chiamare Alberto e Simone, ma nessuno rispose; poi mi ricordai dello spogliatoio e, accostatom, mi sembrô di udire dei rumori bassi e soffocati. Aprii piano la porta, appena uno spiraglio, e quello che si parô ai miei occhi me lo ricorderô tutta la vita: inginocchiato davanti a mio padre stava Simone, dandomi le spalle, mentre mio padre con le gambe ben divaricate e la parte superiore della tuta aperta in modo da mostrare il meraviglioso torace ricoperto della selva di peli neri, gli spingeva avanti e indietro la testa nell’ovvio movimento del pompino. Mio padre teneva gli occhi socchiusi e la testa un po’ reclinata all’indietro mentre alcune grosse gocce di sudore gli imperlavano la fronte e scendevano sui folti baffi. Rimasi per qualche secondo come in trance, e fu in quel momento che Alberto aprî gli occhi e i nostri sguardi si incrociariono per un istante che mi sembrô interminabile. Poi, senza pensare corsi via all’impazzata, il petto spezzato da un’orribile sensazione di peso, mentre le lacrime mi salivano agli occhi e corsi via senza una direzione precisa da quella maledetta officina, intenzionato a non mettervi piû piede. E correvo, correvo senza meta, sconvolto e tradito e quasi non mi accorsi che un grosso camion rosso si avvicinava a me e una bella voce nota mi chiedeva:ehi, dove stai correndo? Solo allora mi accorsi che era Rocco e accolsi l’invito a salire, senza pensarci due volte.

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